
Un punto sull’hr tech: come le aziende stanno affrontando le nuove sfide per la retention
di Davide Mario La Piana
E’ ormai ufficiale come il 2022 sia stato l’annus horribilis per le dimissioni in Italia: sono state ben 1,6 milioni le persone che l’anno scorso hanno abbandonato volontariamente il proprio lavoro, il 23% in più rispetto al 2021. Si può dire quindi che il fenomeno globale della Great Resignation, che in Italia si era espresso più timidamente rispetto agli altri paesi europei con lo scoppio della pandemia, abbia definitivamente preso piede anche nel nostro paese.
Avevamo già parlato in precedenza di come una delle sfide più importanti dei dipartimenti HR degli ultimi anni fosse quella di fronteggiare il fenomeno della Talent Scarcity, ovvero della fatica da parte delle aziende nel trovare nel mercato del lavoro le persone e le competenze che ricercavano. In questo contesto, l’esplosione del fenomeno della Great Resignation sposta il livello d’allerta molto più in alto: il rischio non è più solo quello di non trovare competenze adatte sul mercato, ma di perdere quelle che si hanno già a disposizione senza essere in grado di sostituirle.
Ma quali sono le principali ragioni che negli ultimi anni stanno spingendo il fenomeno della Great Resignation in Italia? Secondo un rapporto dell’Osservatorio per l’Innovazione Digitale del Politecnico di Milano sono:
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Ricerca di salari e benefit più alti
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Crescita di carriera
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Miglioramento della propria salute fisica e mentale
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Work-life balance e flessibilità.
E’ proprio su questi temi che si dovranno sempre di più concentrare le politiche di retention aziendali. Di cosa parliamo? Si tratta di una serie di strategie e azioni messe in atto dalle aziende al fine di trattenere i propri dipendenti e promuovere il loro coinvolgimento e la loro soddisfazione all’interno dell’organizzazione. Questi interventi possono riguardare vari aspetti delle politiche HR, e portano a trasformazioni anche radicali dell’organizzazione aziendale.
Ma come focalizzarsi su interventi che siano efficaci sulla Retention della propria popolazione aziendale? Il primo step riguarda l’ascolto delle proprie persone: solo ascoltando le motivazioni di chi ci sta lasciando saremo in grado di ricavare informazioni rispetto agli aspetti su cui intervenire. Chi da anni ha inserito nei propri processi HR strumenti come le Exit Interview oggi riesce ad avere un’idea molto più chiara della strada da intraprendere.
L’ascolto però non riguarda solo chi ci sta lasciando, ma va focalizzato anche su chi è ancora con noi: introdurre strumenti per il monitoraggio del clima, dell’engagement, dello stress, dell’affaticamento del personale, permette di avere un bacino informativo molto importante e utile a non rischiare di introdurre politiche di Retention poco efficaci e poco aderenti ai bisogni delle proprie persone. Si stanno sempre più diffondendo inoltre le Stay Interview: si tratta di interviste svolte con i dipendenti che hanno deciso di rimanere nell’organizzazione per periodo di tempo prolungato. Lo scopo principale della stay interview è quello di identificare i motivi per cui i dipendenti decidono di restare e di utilizzare queste informazioni per migliorare l’esperienza di tutti gli altri.
Ed è qui che entra in gioco la tecnologia: l’introduzione di strumenti di analisi di questo tipo permette di avere a disposizione tantissimi dati relativi alla qualità dell’esperienza delle persone all’interno dell’azienda. Questi, se incrociati con il patrimonio di dati che un dipartimento HR ha per sua natura a disposizione, diventano un tesoretto in formato Big Data che l’HR deve imparare a sfruttare per la creazione di politiche di Retention sempre più specifiche e tarate sul bisogno della persona.
Qualcuno ha già cominciato a creare i primi modelli predittivi:
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IBM: ha utilizzato l’analisi predittiva per identificare i fattori che portano i dipendenti a lasciare l’azienda. Attraverso l’analisi dei dati relativi ai dipendenti, IBM oggi è in grado di predire con il 95% di accuratezza le dimissioni di una specifica persona.
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Google: ha sviluppato un algoritmo che tiene conto di fattori come la posizione, l’esperienza, le recensioni dei dipendenti e le attività sui social per prevedere il rischio di dimissioni. In seguito, Google ha utilizzato queste informazioni per adottare misure specifiche per migliorare l’esperienza dei dipendenti e aumentare il tasso di Retention.
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Hilton: ha sviluppato un modello predittivo che tiene conto di fattori come il turnover storico, le performance, le assenze e le promozioni per prevedere il rischio di dimissioni.
La logica è passare da un approccio reattivo ad uno preventivo: scoprire in anticipo il malessere di un dipendente o di un gruppo di dipendenti per poter nel breve termine progettare interventi che possano risolvere la situazione specifica, e nel medio-lungo termine ragionare, dati alla mano, su politiche di Retention più strutturali.