Il Facilitatore di smart working

IL FACILITATORE DI SMART WORKING

di Luigi Degan

Tra le professioni del futuro da qui al 2030 ce ne sono alcune entrate nel portfolio di alcune società di consulenza: il facilitatore di smart working.

Durante la pandemia abbiamo assistito a un ribaltamento del rapporto tra lavoro da remoto e lavoro in presenza. Prima del 2020 solo il 5% delle persone lavorava da remoto mentre ora la percentuale è in sviluppo verticale e viaggia a due cifre.

E difficilmente il fenomeno regredirà in quanto ci sono anche importanti ricadute economiche che, secondo il World Economic Forum (WEF), sono stimabili in una riduzione di costi, per l’azienda, di 10mila euro a dipendente e di 5mila euro per il dipendente stesso. I costi diminuiti sono riferibili a quelli di viaggio, a quelli per l’abbigliamento – abbiamo ancora tutti in mente lo “spezzato da smart working”…camicia e cravatta e, nascosti sotto il tavolo, bermuda – e a quelli per la cura dei bambini.

Il fenomeno ha ovviamente delle ricadute sull’organizzazione e la programmazione aziendale oltre che, ça va sans dire, sugli aspetti giuslavoristici e psicologici. E qui viene in rilievo la necessità di una nuova figura che sommi diverse competenze e che sia in grado di gestire il personale a 360°: dagli aspetti normativi alla formazione, dall’onboarding alla progettazione delle attività, dalla logistica alla progettazione degli spazi, ad esempio dovranno essere realizzati spazi, da un lato, in grado di gestire un numero variabile di persone e, dall’altro lato, consentire il lavoro di gruppo e, infine, aree di concentrazione individuale.

Uno degli aspetti più rilevanti è sicuramente quello legato al necessario coinvolgimento delle persone, all’engagement. Il dipendente non inserito in una organizzazione definita con dei limiti anche fisici che consentono al corpo e alla mente di concentrarsi su determinati obiettivi, potrebbe ridurre le proprie performance, da un lato, e mettere a dura prova le politiche di retention, dall’altro.

Il facilitatore ha quindi il compito di promuovere la cultura aziendale affinché il lavoratore si senta parte della squadra e, inoltre, dovrà predisporre gli strumenti normativi e organizzativi per evitare una fuga aziendale. Oltre al regolamento sulla modalità della prestazione, potrà essere necessario, ad esempio, rivedere o introdurre dei patti di stabilità, della formazione dedicata sulla sicurezza elettronica e alle tecniche di rilassamento, o ancora a nuove modalità di relazione.

A ciò si aggiunga che il dipendente che presta il proprio lavoro da remoto potrebbe vivere anche una responsabilizzazione della propria vita extralavorativa, riorganizzando i propri spazi e tempi personali e familiari.

Tutto ciò determina anche la necessità di interventi formativi non più relegati solo all’acquisizione di nuove competenze lavorative ma anche personali.

È una sfida che molte aziende hanno dovuto affrontare in quanto molti dipendenti si sono trovati talmente bene con il lavoro da remoto che, al momento di rientrare in ufficio, si sono rifiutati di tornare alla vecchia routine e hanno dato luogo a quel fenomeno qualificato come Great Resignation.

In questo momento è proprio il facilitatore di smart working che può far fronte a queste situazioni trovando le modalità, anche giuridiche, perché l’azienda possa superare positivamente queste “HR crisis”.

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